N.B. Quello della fotografia di copertina è in realtà il Forte San Giacomo, posto al confine tra i Comuni di Vado Ligure e Bergeggi. Lo abbiamo inserito solo come esempio di architettura militare ancora presente nella zona interessata dall’esplosione, peraltro antecedente di un secolo allo scomparso Forte Sant’Elena.
Undici tonnellate di esplosivo, probabilmente provenienti da vari luoghi della Penisola, depositate nel Forte Sant’Elena, nel territorio del Comune di Bergeggi. Beh, che c’è di strano? La Grande Guerra è terminata da soli tre anni, non c’è stato ancora il tempo di sistemarlo altrove, quel carico di potenziale distruzione, di suddividerlo magari in quantitativi minori per collocarlo in sedi più opportune, lontane dai centri abitati. Anzi, si è pensato bene di continuare sistematicamente ad aggiungerne, con una perseveranza davvero diabolica.
Una quantità, un volume, talmente ingenti che si è stati costretti a piazzare il materiale anche all’aperto, fuori dalle mura del Forte, visto che il deposito all’interno ne è stracolmo. Parliamo genericamente di Forte Sant’Elena, ma in realtà si tratta di una batteria da difesa costiera, inadatta alla funzione nella quale da tempo, sempre più massicciamente, viene impiegata. Per stoccare i continui arrivi di materiale si costruiscono baracche di legno (!) ricoperte da teli catramati, che vengono posizionate intorno al Forte e riempite di esplosivo.
Sfortuna vuole (o incuria, o dolo) che un incendio di vaste proporzioni si sviluppi sul Monte Sant’Elena, quello che dà il nome alla struttura militare. Si cerca di spegnerlo, senza successo, con l’aiuto delle persone del posto, comprensibilmente allarmate.
La data, di quelle che non si dimenticano, è il 25 ottobre 1921. Potrebbe essere una normale giornata d’autunno, passata tra le mille incombenze di chi vive in quei borghi dediti prevalentemente all’agricoltura e alla pesca, forse venata dalla preoccupazione per le fiamme indomabili sempre più vicine, potrebbe essere ma non è, poiché alle ventidue circa una violentissima esplosione squarcia l’aria, un fragore enorme che fa impallidire persino il ricordo degli orrori della guerra. I più credono che si tratti di un terremoto e scappano di casa nel timore di una scossa successiva. Buona parte della Liguria occidentale, della Valbormida e del Basso Piemonte percepiscono il boato. Il Forte, con il suo carico di morte annunciata, raggiunto dalle fiamme è saltato in aria.
I piccoli (all’epoca) insediamenti abitativi della frazione vadese di Sant’Ermete e di Bergeggi sono immediatamente raggiunti dalla spaventosa onda d’urto. Ventidue persone perdono la vita all’istante, i feriti sono 304, cinquanta dei quali non hanno speranza di sopravvivere. Duecento sono le case scoperchiate, buona parte di quelle presenti nel raggio di diversi chilometri. A Savona, a Vado Ligure, a Quiliano, ma questo è il male minore, non esistono più vetri alle finestre. I detriti causati dall’esplosione, come lapilli vulcanici, piombano dall’alto sulla popolazione, uccidendo, ferendo e distruggendo, anche a Spotorno e Zinola.
Numerosissimi anche gli animali che muoiono, si racconta di un vitellino trovato privo di vita in cima a un albero. Anche le coltivazioni sono completamente devastate, così come ogni altra realtà produttiva.
I soccorsi, almeno quelli, sono immediati ed efficaci. I militi della Croce Rossa di Vado Ligure , quelli della Croce Bianca di Savona, si arrampicano sulle macerie fumanti, sulle rocce sbriciolate, spingendo a mano le barelle con le quali recuperano feriti e cadaveri. Con loro anche le Pubbliche Assistenze di Spotorno, Noli, e Finale Ligure. Autentici eroi che sfidano il buio, i ripidi versanti delle colline che strapiombano in mare, il calore, l’aria resa irrespirabile dall’incendio e dall’esplosione, per prestare soccorso.
Con le primi luci dell’alba è chiara l’enormità di quanto accaduto. Un paesaggio spettrale, un fotogramma da film del filone catastrofico (diremmo oggi) si manifesta nella sua crudezza agli occhi dei presenti, una scena in cui individui resi irriconoscibili dalla cenere continuano caparbiamente a scavare tra le macerie nella speranza di trovare superstiti. L’esplosione ha provocato la formazione di un cratere di quindicimila metri cubi. Tutto ciò che rimane del Forte Sant’Elena.
I militari piantonano l’area, la piaga dello sciacallaggio esisteva allora come adesso. Ci si comincia a porre qualche domanda. Ma davvero lì, nel Forte e nelle immediate vicinanze, era ammonticchiato tanto esplosivo? Perché? Eppure qualcuno se n’era preoccupato, la guarnigione stessa aveva avvisato le autorità militari di Savona del rischio che si correva, causato da una preoccupante serie di incendi, tutt’altro che infrequenti in Liguria. Non mancava comunque il sospetto che la causa dei roghi fosse da attribuire all’uomo. Le alte sfere dell’esercito, a Roma, pur messe sull’avviso, avevano dato ordine di non interrompere l’attività di stoccaggio.
A tragedia ormai avvenuta, nemmeno l’ombra di una qualunque forma di aiuto per le popolazioni così duramente colpite era pervenuta dal Governo, mentre dai semplici cittadini liguri era partita in modo spontaneo una catena di solidarietà che evitò ulteriori sofferenze ai sopravvissuti.
Per concludere, riportiamo un interessante frammento dell’interrogazione parlamentare presentata alla Camera dal deputato ligure Angelo Banderali.
“A Sua Eccellenza il Ministro della Guerra (era Luigi Gasparotto, N.d.A.) sul grave disastro del forte di Sant’Elena e sulle cause che l’hanno determinato … se non crede urgente eliminare ogni pericolo per i centri urbani, evitando che nelle polveriere vicine all’abitato vengano depositate materie esplosive di alta potenzialità”.