Veronica Murialdo pittrice Savona

VERONICA MURIALDO SAVONESE DIPINSE

Enigma Veronica. Parliamo di una pittrice savonese, sconosciuta ai più, che vale la pena incontrare e rivalutare.

(con il “faro” di due eminenti studiose savonesi, Flavia Folco e Silvia Bottaro)

Ci siamo messi sui suoi passi, immaginandoli. Abbiamo cercato di arrivare alla donna facendocela raccontare dalla pittrice. Ma lei si è negata, preferendo restare velata dal mistero.

La nostra pittrice nasce a Savona nel 1811 “nella Parrocchia della chiesa di San Pietro”. Quale?  La chiesa di S. Pietro il Vecchio all’epoca era già stata distrutta (il 1802 è l’anno in cui fu compiuto quest’ennesimo scempio) o meglio, sconsacrata e convertita ad uso civile in seguito alle soppressioni napoleoniche, ma di certo ancora presente nella memoria della comunità come antichissimo luogo di culto e testimone delle più importanti vicende della città, non ultima la nascita del Libero Comune nel 1191.

La chiesa cui si fa riferimento è in realtà San Pietro in via Untoria. Nata nel 1677 dalla volontà dei Padri Carmelitani Scalzi che l’avevano originariamente intitolata alla Madonna del Carmelo,  cambiò denominazione quando vi fu trasferito il titolo di San Pietro nel 1802. Questo sposta geograficamente il luogo di nascita della pittrice, che a quanto pare ha visto la luce non accanto alla Torre del Brandale dove era allocata l’antica chiesa – come avevamo ipotizzato in prima battuta – ma nel rione dei conciatori di pelli, l’antichissima Unzaja.

Quella della Murialdo  è una famiglia borghese, il padre è Stefano Murialdo detto il Crocetto (non chiedeteci il perché, non lo sappiamo!) scultore e ceramista, un uomo e un artista vissuto a cavallo tra i due secoli “l’un contro l’altro armati”. Sua la splendida cassa processionale (1833) raffigurante La Pietà, custodita nell’Oratorio di Nostra Signora di Castello.  

Anna Giordano, la madre, governa la casa e una nidiata di sette figli. Di lei nulla si sa. La pittrice vive in una città che attraversa una fase complessa della sua storia, partendo dal periodo napoleonico che tra luci e ombre ha segnato la rinascita di Savona e l’affrancamento dall’oppressione plurisecolare di Genova, per giungere all’epoca del rinnovamento e dello sviluppo industriale. La nostra Veronica questa storia la percorre tutta durante la sua lunga vita, ma con levità, immersa più nell’arte e nella fede che nelle vicende che la circondano.

Il padre collabora fattivamente con alcune delle più importanti manifatture ceramiche della città, Folco, Ricci, Musso  e la figlia maggiore lo accompagna in questi luoghi che la affascinano precocemente dove nascono oggetti di ogni genere, dai più umili ai più preziosi. Veronica diventerà presto la Crocetta e in questo passaggio di padre in figlia del soprannome e soprattutto dell’arte è racchiuso il suo percorso e il segno della stima dei contemporanei. E la Savona ottocentesca è una fucina d’arte. Francesco Coghetti lavora agli affreschi della volta a botte e del catino absidale della Cattedrale, la vernice sui dipinti di Carlo Giuseppe Ratti, morto nel 1795, non ancora completamente asciugata – metaforicamente parlando – palpita alla luce delle candele nella chiesa di San Giovanni Battista e nell’Oratorio dei Santi Pietro e Caterina, Paolo Gerolamo Brusco muore quando la pittrice è bambina lasciando un numero impressionante di opere e il ricordo nei concittadini della sua indole ironica e burlona, nonché un’autentica scuola di talenti. Giuseppe Bozzano, Lazzaro De Maestri, Giuseppe Frascheri, Agostino Oxilia, Domenico Buscaglia… quanti ne stiamo dimenticando? Artisti di prim’ordine che non mancano di influenzare la Murialdo. E forse anche il movimento preraffaellita, che in quegli anni si afferma, non lascia indifferente la sua anima sensibile (suggestiva tesi di Silvia Bottaro).

Veronica Murialdo savonese dipinse. Una firma semplice eppure esaustiva, ovvero, come in un cartiglio racchiudere tutta una vita. Si afferma presto, dicevamo (uno dei suoi primi, importanti lavori è la tela Morte di San Giuseppe  per la chiesa dell’Immacolata dei Padri Minimi di Oneglia, dipinta all’età di ventuno anni e ancor prima, nel 1830, ha portato a termine la Madonna col Bambino, due angeli e due monaci  per la chiesa di Nostra Signora della Neve a Savona) e trova soprattutto nel clero la committenza più affezionata. Questo si accorda alla perfezione con la sua fede senza ombre.

 Lavora come copista e realizza con maestria e umiltà persino eccessiva duplicati di opere famose, ma dà spazio anche alla sua creatività e, pur restando nel solco della tradizione, trova un approccio personalissimo alla pittura che la rende immediatamente riconoscibile. Porta un tocco di femminilità nell’arte, con quei suoi colori tenui, la profusione di fiori, le espressioni soavi dei volti. Anche nell’esecuzione di ritratti di committenti appartenenti all’alta borghesia imprenditoriale savonese mantiene uno sguardo rispettoso e dolce, pur non rinunciando a una forma embrionale d’indagine psicologica. La  cura dei particolari, l’attenzione ai dettagli di abiti e ornamenti, l’accento sulle mani femminili dipinte con grande delicatezza sono il suo marchio di fabbrica. Tira il colore fino ai limiti del possibile, donando alla pittura a olio le liquide sfumature dell’acquerello, una pittura definita magra che le consente inedite suggestioni, ma condanna le opere alla precoce obsolescenza.

Forse vincendo a fatica la sua riservatezza, forse spinta da chi apprezza le sue opere e vorrebbe vedere valorizzato il suo talento, nel 1845 partecipa alla IV Esposizione della Società Promotrice delle Belle Arti di Torino con alcuni ritratti e una tela a soggetto religioso. Non sappiamo se consegue un certo successo, ma è probabile visto che espone ancora nelle tre edizioni successive della importante manifestazione artistica.

Come il padre, è abile e stimata ceramista. Le targhe, le formelle, gli ovali, le piastre, dove il tema principale se non unico è l’apparizione della Madre di Misericordia al beato Botta, leggiadramente dipinte dalla nostra Veronica, sono molto richieste e adornano chiese, vicoli e case private, non solo a Savona ma in tutta la Liguria centro-occidentale.

Per chi volesse venire in contatto con la pittrice tramite le sue opere, che parlano di lei molto più delle chiacchiere, suggeriamo un percorso tra le chiese savonesi, Sant’Ambrogio a Legino, Nostra Signora della Neve  nel quartiere delle Fornaci,  Sacro Cuore  alla foce, San Dalmazio a Lavagnola,  Oratorio del Cristo Risorto, San Giovanni Battista, Santa Lucia in centro città…   Difficile comunque trovare un edificio religioso che non ospiti lavori della Murialdo, presenti anche a Stella, Albisola Superiore, Varazze. A questo proposito vogliamo sottolineare che l’assenza di immagini  – a parte quella in fondo all’articolo – è frutto di una scelta precisa e vorrebbe stimolare la curiosità e l’interesse di chi legge e invogliare alla ricerca.

Anche Vado Ligure ospitava opere importanti della Murialdo, per la precisione gli affreschi della volta della chiesa di San Giovanni Battista, purtroppo andati distrutti sotto i bombardamenti della seconda guerra mondiale, il che ci porta a evidenziare questa inconsueta capacità della pittrice di praticare anche la pittura a fresco. Numerosissime, dicevamo, sono  le opere dell’artista, molte visibili, altre ospitate in abitazioni private e quindi difficilmente raggiungibili, altre ancora che, pur citate dalle fonti , risultano scomparse. Numerose e spesso dimenticate.

La fede è il fil rouge che percorre ogni fase della vita della Murialdo, portando talvolta i ricercatori, alle prese con la scarsità di notizie, a credere che la donna si fosse consacrata a Dio prendendo i voti , tesi avvalorata da una  affermazione di Antonio Aliberti, discendente della famiglia che da secoli detiene il giuspatronato della cappella che ospita il quadro Beata Vergine degli Angeli collocato nella Chiesa dei Santi Vittore e Carlo di Genova, che definisce l’opera come “dipinta dalla celebre pittrice monaca savonese Veronica Murialdo”.

 Ma non era così. Una delle rare notizie che la riguardano, desunta dai fogli dell’anagrafe, ci dice che l’artista ha contratto matrimonio con tale Fabio Sonzini di professione stuccatore, originario della provincia di Como. Nient’altro.  Cosa accadde poi? Nacquero figli?  I coniugi si trasferirono nei luoghi di provenienza del Sonzini?  Difficile che questo sia accaduto perché la pittrice continua a dipingere per la committenza savonese fino agli ultimi anni di vita, anche se la sua pittura, si dice, diventa più ripetitiva e stanca. La morte della donna, poi, è ancora più misteriosa della vita. Sui registri del cimitero di Savona non risulta la  sepoltura. Un nuovo dubbio ci tormenta, a questo punto. La data del 1892, indicata come quella del trapasso della pittrice e riportata in alcuni testi con il punto interrogativo, è certa? E dove si trovano le sue spoglie? Azzardiamo un’ipotesi che sicuramente sarà confutata, è possibile che l’artista sia stata sepolta in ambito conventuale?  Magari in quanto terziaria  (siamo sempre nell’ordine delle ipotesi)  delle Carmelitane Teresiane, le figlie spirituali di Santa Teresa d’Avila, santa amatissima  in gloria della quale Veronica dipinse un intero ciclo pittorico avente ad oggetto la vita di questa pasionaria di Cristo, una delle sole quattro esponenti del genere femminile nel ristretto novero dei “dottori della Chiesa”? Un nodo probabilmente impossibile da sciogliere.

Un fine vita in punta di piedi, come tutta la sua esistenza, quasi a non voler disturbare, a desiderare l’anonimato, a lasciare che di lei parlasse solo la sua arte. Questo tuttavia non giustifica l’oblio tributatole dai suoi concittadini, quel riaffermare il nemo profeta in patria che talvolta appesantisce l’aria di questa città avara nel riconoscere il merito dei suoi figli.

Avremmo voluto che ci avesse lasciato un autoritratto, magari per cercare nei suoi lineamenti un indizio, uno sguardo, che ci raccontasse di lei qualcosa in più del pochissimo che conosciamo, ma purtroppo non è stato così. O forse no? Chi è la fanciulla che spunta appena alle spalle di coloro che ascoltano la predicazione di San Paolo ad Atene – quella che non si fa largo, che non spintona, ma rimane sul fondo, confusa tra la folla che ascolta Paolo che s’infervora nell’Areopago -nel dipinto appartenente alla chiesa parrocchiale di Sant’Ambrogio a Legino?  Flavia Folco, autorevole storica dell’arte purtroppo scomparsa , ipotizza che la giovane donna potrebbe essere una delle sorelle della pittrice o addirittura la stessa Veronica. E i Ciceroni per gioco, con animo inguaribilmente romantico, vogliono tenersi stretta questa seconda ipotesi e pensare che qualcosa della donna, oltre che della pittrice, la Murialdo abbia voluto lasciare in eredità. Un’ illusione o forse un retaggio prezioso consegnato con l’usuale modestia alla sua città, così distratta.

P.S.   Ci scusiamo per la qualità delle immagini.

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