N.d.A. Questo racconto è nato quando ancora il subdolo virus che sta immobilizzando il mondo non si era manifestato. Siamo certi che non gli permetteremo di buttare all’aria le nostre vite, le nostre tradizioni, in una parola la nostra civiltà, e sapremo uscire da questo periodo buio migliori e più forti. Un pensiero a tutti quelli che, finita la tempesta, non potranno vedere l’alba del nuovo giorno.
Quando la Città si accende di Luci
Tutto ha inizio la sera del diciassette marzo, vigilia della festa patronale, quando la città si accende di mille e mille piccole luci. Magari anonime e fredde file di lampadine, sempre meno, purtroppo i balunetti, letteralmente i palloncini, cioè le lanternine di carta, coloratissime, che nascondono al loro interno un lumino che tremola, mosso dalla brezza, e che avevano e hanno l’inconveniente di tendere all’autocombustione. Appese alle finestre, ai balconi, onorano la patrona della città, Nostra Signora di Misericordia. E’ così che iniziano i festeggiamenti, con questo poetico e antico omaggio, per poi proseguire il giorno successivo, il diciotto, festa patronale, con la processione che dal cuore antico della città raggiunge, in un percorso suggestivo, il santuario mariano.
E ancora, la sera, i balunetti luccicano per l’ultimo omaggio a Maria. Vogliamo, allora, raccontare una storia – scusandoci con quelli che la conoscono già – una storia vecchia di quasi mezzo millennio, che non ha perso il suo fascino.
Le Origini, la Storia
Anno Domini 1536. Un contadino arranca sul sentiero ripido che conduce “au scitu”, cioè al suo piccolo podere. E’ un brav’uomo semplice e devoto che ha la avuto sfortuna, come tanti, di vivere in un periodo particolarmente difficile per la terra scoscesa e fragile dove è nato. Non si pone molte domande in proposito, non ne avrebbe nemmeno il tempo, impegnato com’è nella quotidiana lotta per sopravvivere. Savona, la sua città, dalla cima delle colline della valle di San Bernardo dove vive, si può vedere in lontananza. Un tempo si intravvedeva anche di notte. C’erano luci a rilevarne la presenza, il fuoco del faro, i lampioni delle strette vie e della cittadella – bella da levare il fiato – sul promontorio del Priamar. Ora tutto è piombato nel buio e nel silenzio. Sa poco di quello che è successo, quel poco che ha sentito bofonchiare da bocche che quasi temevano di aprirsi, e cioè che Andrea Doria, grande signore del mare, ha ordinato la distruzione della storica rivale di Genova e l’interramento del porto. Il perché non lo conosce e forse non lo riguarda. In realtà, con il porto fuori uso, l’economia si è fermata e la fame, uno dei quattro cavalieri dell’Apocalisse, è arrivata in città e ha portato via tanti. E altrettanti se ne sono andati in cerca di salvezza. Qualcuno che è stato laggiù sul mare, dove sorgeva la bellissima città, ha raccontato di mura rase al suolo, di strade vuote, di case abbandonate, di persone abuliche che non hanno nemmeno la forza di andarsene. Lui ringrazia il buon Dio ogni giorno di riuscire a portare il pane in tavola, ne va fiero e nel contempo prova gratitudine e un po’ di vergogna pensando a chi non è altrettanto fortunato. Ed è in questo quadro di desolazione che Antonio Botta, la mattina del diciotto marzo, mentre si lava le mani nel ruscello, vede scendere dal cielo una signora circonfusa di luce che gli si presenta come Maria Vergine. Possiamo solo immaginare lo stupore, la paura, l’incredulità del pover’uomo, ancor più quando l’apparizione gli chiede di rivolgersi al suo confessore affinché predisponga per tutto il popolo digiuni penitenziali e processioni. Ad essere proprio sinceri, di tutto avrebbero necessità i Savonesi fuorché di digiunare, ma occorre tener presente che all’epoca le calamità erano ritenute punizioni divine per peccati da emendare con la penitenza. Il Botta fa ciò che gli viene chiesto, ma, comprensibilmente, non viene creduto e quindi sottoposto ad un energico interrogatorio nel corso del quale non arretra di un passo, stupefacendo gli inquisitori. Nel frattempo la Signora riappare all’uomo, ribadisce le sue richieste e, nel congedarsi, pronuncia la famosa asserzione “Misericordia e non giustizia”. Anche queste parole, che racchiudono in sé un mistero forse non sufficientemente indagato, al pari dell’imposizione del digiuno, se esaminate alla luce dei convincimenti dell’uomo moderno, difficilmente potrebbero essere bene accette. Dopo l’illuminismo, dopo la rivoluzione francese, dopo le lotte del XX secolo, tutti noi aspiriamo all’equità e con ogni probabilità ribalteremmo la locuzione in “giustizia e non misericordia” o in un ecumenico “giustizia e misericordia”.
Per tornare ai fatti del 1536, i Savonesi accolgono i suggerimenti della Signora, che si pone quale intermediaria tra il popolo e lo sdegno del Figlio, e le processioni e i digiuni prescritti vengono portati a compimento con grandissimo scrupolo. Nel frattempo, le notizie corrono veloci e cominciano i pellegrinaggi sul luogo dell’apparizione. I fedeli, oltre che dal circondario, provengono dalla Lombardia, dal Piemonte e da luoghi ancora più lontani. Iniziano a verificarsi i primi miracoli, i pellegrini portano con sé i loro ammalati che vengono invitati a bagnarsi nell’acqua del ruscello e le guarigioni sono numerose. Se ne tiene diligentemente nota, poi, raccontano le cronache, i prodigi raggiungono numeri così elevati da rendere impossibile la puntuale stesura di verbali. Suggestione collettiva? Chissà.
Pellegrinaggi e Arte
Nascono problemi di viabilità. Il sentiero che conduce al luogo dell’apparizione è un viottolo di campagna, talmente affollato di fedeli da costringere le autorità a regolamentarne l’accesso, quindi si dà inizio alla costruzione di una vera e propria strada, che ancora oggi svolge il suo onorato servizio. Le autorità civili e religiose, che in principio avevano osteggiato il Botta e le sue testimonianze, arrivando a temere che il fervore religioso potesse in realtà nascondere un desiderio di rivolta (e di questa ai Savonesi non sarebbero mancati i motivi) constatato che l’ordine pubblico è stato mantenuto e rilevato con soddisfazione il positivo incremento economico generato, l’indotto, diremmo oggi, cambiano atteggiamento. Questi pellegrini devono alloggiare, mangiare, lasciano offerte ed ex voto, insomma, muovono l’economia, e ben vengano dunque! Nello stesso 1536 si decide di edificare sul luogo miracoloso, con il tesoretto delle offerte, una chiesa, un ospizio per i poveri e si proclama la festività del diciotto marzo.
Tutto questo per quanto riguarda la nostra storia di fede, il rapporto tra i savonesi e la loro amatissima Madonna di Misericordia.
Il resto è storia e basta, ad esempio la comparsa sulla scena di Pace Antonio Sormano, architetto comacino che opera a Savona in quel periodo, il quale riceve l’incarico della progettazione del santuario. I lavori procedono con una velocità che dovrebbe far arrossire gli odierni gestori della cosa pubblica. Così come è storia, e storia dell’arte, la nutrita schiera di artisti chiamati a produrre opere che adornino il Santuario e i quartieri cittadini – ansiosi di esporre statue raffiguranti l’apparizione, dall’auspicata valenza taumaturgica – secondo uno stilema che vuole mantenere immutata l’immagine e l’emozione della prima statua cinquecentesca di Pietro Orsolino. Con l’Orsolino, infatti, nasce l’iconografia che prosegue nei secoli con pochissime variazioni, la Madonna avvolta dal panneggio delle lunghe vesti, lo sguardo rivolto verso l’alto, il mantello tenuto scostato quasi a voler accogliere e proteggere il popolo sofferente e il Botta, piccolo piccolo, inginocchiato ai suoi piedi, abbigliato in foggia cinquecentesca con i calzoni corti sotto il ginocchio e la giacchetta stretta in vita e ampia sui fianchi, di cui ancora ad inizio del secolo scorso i vecchi savonesi ricordavano l’uso da parte degli anziani, chiamata “u visittu”. Termine oggi pressoché intraducibile.
Storia, le teste coronate che visitano il Santuario, pellegrini di lusso ma pur sempre persone che si rivolgono al trascendente per risolvere problemi umanamente irrisolvibili, e i Papi, due fino ad oggi, Pio VII e Benedetto XVI, che vengono a pregare sul luogo dell’Apparizione. Una storia con la S maiuscola che prosegue verso il futuro, fiera dei suoi cinquecento anni d’età.