Savona e il chinotto, UN BINOMIO INSCINDIBILE

SAVONA E IL CHINOTTO, UN BINOMIO INSCINDIBILE

Pare che provenga dalla Cina, o forse dall’Anatolia, dice qualcuno. Portato fin qui dagli intrepidi navigatori savonesi all’inizio del XVI secolo, si è acclimatato benissimo e ha prosperato nelle nostre brevi piane, strette tra il mare e le ripide colline. La scienza gli ha assegnato come al solito un nome complicato,  Citrus Aurantium Myrthifolia, per una certa rassomiglianza delle foglie, piccole, aguzze, lucide, di un bel verde scuro, con quelle del mirto, ma è a tutti gli effetti un agrume, forse derivato dall’arancia amara. E infatti è amarissimo, troppo per essere consumato così com’è, e richiede quindi lavorazione e trasformazione. Intrepidi navigatori savonesi, dicevamo. Già, perché i secoli XV e XVI hanno visto la nostra gente  dare un impulso straordinario alla naturale vocazione alla marineria, come, ad esempio, l’illustre concittadino Leon Pancaldo. 

(e con lui altri savonesi, per citarne alcuni, i  compagni d’epiche imprese Piola, De Giudici, Bona e Gravallo) nocchiero di Magellano e autore del Roteiro, ovvero il diario di bordo della spedizione che solcava i mari alla ricerca del passaggio tra l’Oceano Atlantico ed il Pacifico. E come forse – e sottolineiamo forse – Giovanni Caboto, scopritore del Canada nel 1497, rampollo di quella famiglia savonese che potrebbe avergli dato i natali. Sui Caboto un parere autorevole riporta: “Il nome s’incontra non di rado dopo il secolo XII nelle memorie di Savona” (Treccani). Al riguardo di un altro navigatore, il più illustre, vorremmo tacere, anche se non possiamo esimerci dal consigliare la lettura di un libro illuminante di Franco Icardi, Cristoforo Colombo “natural de Saona”, di Europa Edizioni.

Chissà se furono costoro o un anonimo marinaio savonese a decidere di portare in patria una pianticella tutto sommato insignificante, dall’aroma fresco e pungente, in ogni caso dobbiamo a questo signore riconoscenza per averci fatto un bellissimo regalo.

Approdato, dunque, sulle nostre sponde, il chinotto, dopo essersi acclimatato benissimo e  aver migliorato le qualità organolettiche grazie alle condizioni climatiche favorevoli, si diffuse in quasi tutto il bacino del Mediterraneo, e in particolar modo, oltre che nel Savonese, anche in Sicilia e nel sud della Francia. Ovunque conobbe un grande successo e venne commercializzato in tutto il vecchio continente, soprattutto nei paesi dediti alla navigazione che avevano necessità di rifornire le navi di  derrate alimentari in grado di contrastare l’insorgenza dello scorbuto e di resistere, nel contempo, alle lunghe conservazioni. Ovviamente la vitamina C, come le altre, era all’epoca del tutto sconosciuta, ma ben conosciuto il fatto che il consumo di agrumi e del chinotto in particolare, diminuisse l’incidenza della malattia che falcidiava gli equipaggi. Per niente gradevole il chinotto, consumato così, allo stato naturale, amarissimo e coriaceo, in grado comunque di svolgere al meglio la sua funzione ed accettato per quello che all’epoca era, ovvero, un medicinale.

Proprio queste caratteristiche medicamentose stimolarono nel tempo la ricerca di nuovi impieghi del chinotto e fu ancora la piccola grande Savona ad inventare, dopo il sapone in assoluto, la versione profumata e antisettica della quale l’agrume costituiva l’elemento essenziale. Si dice che la notizia giungesse alle orecchie di Luigi XIV, che volle chiamare alla sua corte un artigiano savonese in grado di  insegnare al profumiere di sua maestà i segreti della preparazione del prodotto. Sarà un caso che in francese il sapone si chiami savon

Se la cosa vi stuzzica e volete calarvi nei panni del Re Sole e delle sue favorite,  e soprattutto in quelli del profumiere, proponiamo di provare a preparare in casa il sapone al chinotto, con una ricetta semplice e rustica al punto da strizzare l’occhio alla sua progenitrice.

Per ottenere un bel panetto di sapone al chinotto occorrono, volendo evitare l’uso della soda caustica, quattro o cinque litri d’acqua, 2 chilogrammi di cenere (chi non ha la stufa o il caminetto può rivolgersi ad una pizzeria, una brasserie…), un po’ d’olio d’oliva ligure, diciamo 700-750 ml. e dell’amido di riso, circa 50 grammi. Radunati e pesati gli ingredienti, si comincia col setacciare la cenere, emulsionarla all’acqua e far bollire per qualche ora mescolando, ottenendo così la lisciva che usavano per il bucato le nostre antenate. Quando il composto sarà freddo, bisognerà filtrarlo per eliminare i residui della cenere. A questo punto si prelevano dal liquido ottenuto circa 300 ml. di prodotto da aggiungere all’amido di riso. Con il resto della lisciva si prepara un composto con l’olio intiepidito. Il passaggio successivo è quello di unire tutti gli ingredienti e riportare ad ebollizione fino a raggiungere un grado di densità medio. E qui entra in gioco il chinotto! Va aggiunto adesso, sotto forma di essenza (si trova facilmente in erboristeria) nella dose che sembrerà congrua per ottenere l’aromaticità desiderata. Il profumatissimo composto dovrà quindi essere versato in uno stampo a cassetta e lasciato riposare al buio e al fresco per quaranta giorni. Una volta pronto si potranno tagliare con un semplice coltello delle “fette” che costituiranno le saponette autoprodotte. Facile, no?

Nel sud della Francia la lavorazione del chinotto raggiunse, a fine XVIII secolo, buoni  livelli. In quell’epoca foriera di grandi cambiamenti in cui si fronteggiavano “due secoli, l’un contro l’altro armati” , nei salotti delle classi abbienti il chinotto godeva già di discreta fama. Un secolo più tardi, per la precisione nel 1877, un tale monsieur G.B. Silvestre, proprietario della Fabbrica Silvestre-Allemand & C., decise di portare la produzione di chinotti canditi da Apt in Provenza a Savona, per avvantaggiarsi della qualità dei frutti locali, dalla buccia consistente e profumata, particolarmente adatta alla lavorazione. La fabbrica, situata nella piana del quartiere di Lègino, dava lavoro a circa mille persone, per la maggioranza donne, un lavoro stagionale,  faticoso, che permetteva comunque alle famiglie di uscire dalle ristrettezze. Fino a qualche decennio fa, qualche simpatica nonnina savonese rivendicava con orgoglio di avere in gioventù “travagiò in t’i candii” ovvero di aver lavorato nella fabbrica dei canditi. Altri laboratori nacquero, sulla scia della Silvestre-Allemand, negli anni successivi, consorziandosi in una “Società Cooperativa dei chinotti” in grado di occuparsi dell’intero ciclo dell’agrume, dalla coltivazione alla lavorazione, alla vendita.  La materia prima eccellente e l’affinarsi della tecnica fecero sì che la canditura raggiungesse risultati mai ottenuti in precedenza. 

Fu il periodo di maggior fulgore per il Chinotto di Savona, conosciuto ed apprezzato anche all’estero, esposto nelle caffetterie più prestigiose nel tipico vaso da banco dal quale i chinotti al maraschino venivano “pescati” tuffando una piccola sassua (mestolina) di ceramica, anche quella di produzione savonese.

Intorno agli anni Venti dello scorso secolo la produzione entrò in crisi, in parte per il mutare del gusto del pubblico e soprattutto a causa degli effetti disastrosi della prima guerra mondiale, sfociata in una pesante depressione economica. Effetti negativi ebbero anche alcune gelate abnormi che distrussero buona parte dei frutteti durante quegli anni difficilissimi.

E oggi? Oggi, possiamo affermare che il chinotto di Savona sta tornando ad occupare il posto che gli spetta nel panorama internazionale. Da quando Slow Food lo ha accolto nel prestigioso novero dei suoi Presìdi, il chinotto sta recuperando il tempo perduto, riconquistando fasce di un mercato curioso ed esigente. Le realtà produttive di nicchia presenti nella nostra città, cui va il merito di aver portato avanti la tradizione rivolgendosi al consumo locale, vedono giustamente riconosciuti i loro meriti ora che il Chinotto di Savona è diventato un “must” anche fuori dei nostri confini.

Alle tradizionali canditure, al classicissimo vaso di chinotti al maraschino, si sono aggiunti gli amaretti morbidi,le marmellate, le mostarde, le gelatine, le birre, le creme di liquore, le tisane e gli infusi, per non parlare dei profumi, delle candele, dei saponi, dei cosmetici … Ad maiora, caro Chinotto!

Se questo articolo ti è piaciuto condividilo
Vuoi rimanere aggiornato?Iscriviti alla newsletter