Oggi parliamo del gozzo, in particolare del gozzo ligure, u gussu, come diciamo noi. E se, per partire alla grande, cominciassimo con una bella pernaccia? Tranquilli, non vogliamo essere villani! La pernaccia è la parte caratteristica del gozzo ligure, quel dritto di prua insolitamente pronunciato che rende unici i legni della nostra regione. A cosa serve questo prolungamento verticale della prua? A poco, pare, se non a legare velocemente le cime, ma evidentemente ai nostri antenati piaceva così.
In realtà, noi di gozzi sapevamo proprio un bel niente, abbiamo dovuto documentarci perché non è ammissibile parlare di una provincia a vocazione marittima (plurimillenaria) come quella di Savona senza avere almeno un’infarinatura in materia e vorremmo condividere quello che abbiamo appreso.
Familiarizziamo con il gozzo
Dai disegni abbiamo notato come l’anima, la struttura interna del gozzo, somigli allo scheletro di una balena. Anche perché il gozzo ha una sagoma tondeggiante, cicciottella, essendo un’imbarcazione da carico e non da corsa. Ci siamo poi imbattuti in termini particolari, misteriosi, che all’inizio confondevano le idee. Ad esempio, il madiere. Abbiamo scoperto che è la parte centrale, bassa e massiccia, che si incastra sulla chiglia (e questa la conosciamo tutti). E lo staminale (o ginocchio)? Niente a che vedere con gli stami e i pistilli che studiavamo a scuola nell’ora di scienze, anche se forse la metafora c’è. E’ la parte della costola che si congiunge al madiere. Va bene, ma cos’è la costola? Ma chi non lo sa?! E’ l’ordinata! Ci risiamo, cos’è l’ordinata? E’ la sezione trasversale della carena della barca. Una delle costole della balena, insomma. Queste ordinate, o costole, venivano sagomate dal maestro d’ascia utilizzando un garbo, ovvero un modello, una sorta di stencil ante litteram. Probabilmente questa tecnica viene usata ancora adesso. Ancora un termine particolare, bolzone. E’ la curvatura verso l’alto dei banchi, ovvero i sedili, realizzati di solito in mogano o in teak. E in basso, per appoggiare senza disagio i piedi e non gravare sullo scafo nello sforzo di remare? lI pagliolo, u pagieu come diciamo noi. Esistono pareri contrastanti in merito al pagliolo, chi ne sapesse di più è pregato di illuminarci in merito, grazie.
Fatto della stessa sostanza dei sogni
Chi ha avuto la fortuna di vedere un gozzo allontanarsi nella notte, con la lampara accesa, su un mare calmo che pare di vetro nero, ha forse provato la sensazione di osservare una creatura fantastica, perfettamente integrata nello scenario della natura, un’entità onirica. Le cose, è ovvio, non stanno così. Niente di più solido e materico del gozzo. Parliamo di legno, il legno delle nostre colline che tornano ancora una volta a dialogare con il mare. Sarebbe sbagliato credere che il gozzo ligure sia costituito da una sola essenza di legno. Ad esempio, la chiglia è di rovere. Anche i dritti di prua (la famosa pernaccia) e di poppa lo sono, ma non è insolito l’uso del frassino. Per le costole è ammessa una varietà di legnami che vanno dal rovere all’acacia, senza disdegnare il frassino e l’olmo. E per il fasciame, cioè il rivestimento dello scafo? E’ spesso utilizzato il pino, il nostro pino ligure, se privo di nodi del legno, oppure il mogano o il rovere, lasciati orgogliosamente a vista, senza la classica mano di pittura (stucca e pittua fa n’otra figua, dicevano i vecchi) qualche passata di vernice trasparente e via, fino ad arrivare al pregiato teak, unico blasonato “straniero”, che non richiede alcun tipo di trattamento. Per il bordo, che rifinisce le teste delle costole e tiene insieme l’intera struttura, è previsto l’utilizzo di mogano, di rovere, di frassino. Esistono anche i gozzi con l’anima di vetroresina, rivestiti e ingentiliti dal legno, e quelli che il legno lo hanno abbandonato del tutto, preferendogli appunto la vetroresina che, al contrario del legno, non richiede grande manutenzione. Ma sono veri gozzi, questi?
Remare o usare il motore? Senza dimenticare la nobile vela
Remare è la prima opzione nel gozzo classico, la più faticosa e tradizionale. I remi sono pesanti, ahinoi, di faggio e presentano una tipica pala lunga, resa ancora più gravosa da uno specifico ingrossamento, il girone, che ne aumenta l’equilibrio. Si inseriscono su scalmi di bronzo o di acciaio. Il motore è da tempo entrato nell’uso del gozzo, fuori bordo, entrobordo, causando con la velocità qualche problema, pare, di imbarcamento d’acqua che è stato risolto ridimensionando proprio la pernaccia. Peccato. Il gozzo maggiormente in uso è progressivamente diventato quello alla catalana, meno bello ma più adatto alla velocità. E la romantica vela? Quella latina, ovviamente. Qualcuno la usa ancora, pochi. Ma quanto è bella!
I palmi (e non sono quelli delle mani…. o forse sì?)
Quanto è lungo un gozzo? Ce ne sono di diverse dimensioni. E come si misura? Il vero gozzo si misura in palmi, antica unità di misura che corrisponde a venticinque centimetri circa. Una dimensione media e molto diffusa può essere quella dei cinque metri e mezzo, meglio detti ventidue palmi, fino ad arrivare ai sei metri e mezzo, ovvero ventisei palmi. Quelli ancora oggi usati per la pesca con la sciabica sono sovente molto più grandi.
Dov’è nato, chi l’ha inventato?
Pare che l’abbiano inventato gli Arabi (che hanno ormai soppiantato il famoso cinese di ottomila anni fa nella classifica degli inventori) e che sia stato osservato e apprezzato dai navigatori delle antiche repubbliche marinare, sempre a zonzo nei porti del Mediterraneo orientale, fino a decidere di importarne la tipologia. Tra i primi i Liguri e dalla Liguria la rapida diffusione nell’alto tirreno e sulle coste napoletane e poi in tutto il Mediterraneo. Ogni marineria ha apportato modifiche che lo rendono caratteristico e immediatamente riconoscibile.
Tra le antichissime corporazioni savonesi anche quelle del Maestro d’axia e del Calafatto (con due t)
Spulciando i testi messi on-line dalla Società Savonese di Storia Patria, che ringraziamo per il prezioso lavoro che svolge a beneficio della conoscenza della nostra Storia, abbiamo trovato notizie interessanti di cui riportiamo qualche chicca. E’ documentata l’esistenza di uno Statuto del 1483 “Capitula artis magistrorum axie et calafattorum”, nonché di numerose altre testimonianze che attestano, nel florido mondo delle antiche corporazioni savonesi, la presenza dell’arte dei maestri d’ascia e calafati, a partire dagli Statuta Antiquissima che ne riportano i sacramenti, ovvero i giuramenti, sino dalla prima metà del Trecento. Non solo costruttori di gozzi, naturalmente, ma di ogni tipologia di imbarcazione, dalla più umile al grande veliero. Una presenza costante e proficua nella vita della comunità.