Questa volta i Ciceroni vi propongono la lettura di un pezzo datato ottobre 2011.
Perché questo ripescaggio, a distanza di sette anni? Perché pare che finalmente stia prendendo avvio un vero progetto di valorizzazione ambientale, culturale e turistica dell’Isola di Bergeggi, dato che nella primavera di quest’anno è stato raggiunto un accordo tra i proprietari e il Comune per la promozione a tutto tondo di quel meraviglioso scoglio, circondato da un mare di zaffiro, che tutto il mondo ci invidia. E che nasconde, ma non vede l’ora di rivelare, segreti stupefacenti. Buona lettura.
IL TRANSYLVANIA DORME SOTTO I NIDI DI GABBIANO
L’hanno trovato, finalmente. E’ successo alcuni giorni fa ed è ufficiale, il relitto del Transylvania è stato identificato a tre miglia dall’isola di Bergeggi, adagiato sul fondale ad una profondità di seicentotrenta metri. Le avanzatissime tecnologie del giorno d’oggi, impersonate – si fa per dire – dal robot Pluto Palla, hanno reso possibile il ritrovamento.
Beh, non è un relitto come un altro. Si tratta di qualcosa di cui alcuni addirittura dubitavano, proprio per averne sentito parlare – anche troppo – sin dalla più tenera età. Capitava ogni tanto che qualcuno tirasse in ballo il Transylvania. Genìa di longevi affabulatori, quella ligure, di personaggi dalla memoria tenace, che attraversavano la vita con gli occhi bene aperti, testimoni appassionati e attenti del loro tempo. Da piccoli non si osava fare domande né manifestare dubbi, si ascoltava come ascoltano i bambini, che sembrano non interessati e invece non perdono una parola e macinano nella loro testolina e ipotizzano teorie strabilianti senza darlo ad intendere. – Mi ricordo, quando è affondato il Transylvania… – L’incipit era sempre lo stesso, il tono solenne di chi racconta una favola antica senza lieto fine. Chissà se è mai esistito questo Transylvania, si chiedevano i giovanissimi, e quel narrare ostinato pareva improbabile, a cominciare dal nome della nave che sapeva tanto di conte Dracula.
Invece è esistito, eccome. Si trattava di un transatlantico inglese, nato come imbarcazione di lusso votata al diporto, poi sequestrato e adibito dalla Marina di Sua Maestà Britannica al trasporto delle truppe durante la Grande Guerra. Partito da Marsiglia con tremilacinquecento persone a bordo, doveva raggiungere Alessandria d’Egitto e la Palestina. Doveva, ma la mattina del quattro maggio 1917 fu affondato da un U-Boot, un sommergibile tedesco. Colpito da due siluri in rapida successione, il Transylvania colò a picco trascinando con sé nell’abisso più di trecento tra marinai e crocerossine.
Il mare era ostile quel giorno, il vento da sud tirava su certe onde da brivido. Chi lo conosce bene quel tratto di mare, sa come sia capace di alzare attorno allo scoglio di Bergeggi muri d’acqua feroci. Allora tutto cambia aspetto e in peggio. L’isolotto pacifico, paradiso dei gabbiani, tuttora pervaso dal misticismo lasciato in eredità da Eugenio, vescovo di Cartagine, che qui soggiornò nel V secolo, costruendovi un eremo di cui rimangono tracce ricche di fascino, perde quell’aria serena per assumere un aspetto terrificante. La macchia mediterranea che lo ricopre si agita come impazzita, i nidi sono distrutti dalla forza del vento e del mare. I gabbiani volano alto, in cerchio, mentre assistono impotenti allo scempio.
Doveva essere così lo scenario di quella tragica mattina di più di cent’anni fa. Dalla costa si udirono due esplosioni, si vide alzarsi una colonna d’acqua, si comprese cosa stesse accadendo. I pescatori di Noli misero in acqua i gozzi , sfidando la tempesta, per onorare la legge del mare. Con un difficilissimo ponte di barche riuscirono a portare in salvo ventidue naufraghi. Dal porto di Savona erano nel frattempo partiti due rimorchiatori e due cacciatorpediniere che misero in salvo, con l’aiuto di altre due cacciatorpediniere giapponesi di scorta al transatlantico, la maggior parte dei soldati inglesi. Per quarantasette di loro non fu possibile fare altro che recuperarne i corpi. Ottantanove salme furono ritrovate a riva, altre nei giorni successivi, a miglia di distanza dal luogo del naufragio. Quelli che rimasero imprigionati nella nave dormono laggiù, nella bara di ferro adagiata sul fondale marino.
Oggi come allora i gabbiani nidificano e volano sull’isola. Nelle giornate di tempesta il loro grido sgradevole sembra una voce umana, alterata dall’ira o dalla paura. C’è chi dice sia l’eco dell’ultima, disperata richiesta d’aiuto di quelli che non riuscirono a salvarsi. Ma a ben ascoltare il breve verso strozzato ripete all’infinito – stop war, stop war!
Basta guerra, adesso basta davvero.