Savona e Genova, sorelle o nemiche? pt.2

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Stemmi di Savona e Genova

IL RUOLO DEL PAPATO

Nel Quattrocento, tra alti e bassi, tra straordinari successi commerciali e speranze deluse, in un’alternanza di signorie che si succedevano ( la Francia, il marchese del Monferrato, l’Imperatore, il ducato di Milano…) senza portare soluzione alla causa che più stava a cuore a Savona, la liberazione dall’ingombrante presenza di Genova, le cose continuarono ad andare più o meno come in precedenza.

Lo stesso dicasi per gli inizi del Cinquecento, e questo nonostante la città avesse azzeccato per due volte il jackpot, con l’elezione al soglio pontificio dei savonesi Sisto IV e Giulio II, zio e nipote appartenenti all’illustre famiglia Della Rovere. I due pontefici prodigarono nepotismo nei confronti dei familiari, ma non della terra che aveva dato loro i natali, alla quale riservarono un mecenatismo artistico e religioso e ben poco d’altro. Considerando l’enorme potere della Chiesa all’epoca (all’epoca …) sembra logico pensare che avrebbero potuto risolvere la questione dei soprusi sistematici messi in atto da Genova, ribadendo una volta per tutte l’indipendenza della città, sulla base dei pronunciamenti giuridici già espressi, ma non lo fecero, in tutt’altre faccende affaccendati.

Il primo, Sisto IV, dotò Savona del Monte di Pietà, uno dei primi della storia, con l’intento meritorio di sottrarre allo strapotere degli usurai il destino della povera gente. A lui si deve anche la costruzione della Cappella Sistina, nata come tomba maestosa dei genitori del pontefice, e del ponte a quattro archi di collegamento del la città al complesso conventuale di San Giacomo, all’epoca autentico faro culturale, oltre che religioso, attualmente in deplorevole stato di abbandono.

Stemmi dei Papi in Piazza della Maddalena – centro storico di Savona.

Il nipote, Giulio II, dopo aver fatto edificare lo splendido Palazzo Della Rovere, o Sangallo, o Santa Chiara – gli appellativi non mancano, quello che manca è un buon restauro e una destinazione d’uso adeguata all’importanza del bene architettonico – quando ancora era un “semplice” cardinale, non appena eletto si trasferì a Roma e si occupò della questione savonese in modo discontinuo e poco incisivo.

Dobbiamo comunque a lui anche il Polittico di Foppa e Brea, commissionato per Santa Maria di Castello e custodito nell’omonimo Oratorio dopo la distruzione della Cattedrale e il magnifico coro ligneo, poi adattato alla nuova cattedrale. Riteniamo che i savonesi di allora si aspettassero ben altro dai loro papi e non è difficile immaginarne la delusione.

Va peraltro sottolineato il fatto che non sempre la città e Giulio II si trovarono schierati sullo stesso fronte. Capitò infatti che Savona – dotata come detto in precedenza di un talento naturale nello scegliere alleati sconvenienti – restasse fedele alla Francia, in lotta contro la lega voluta dal Papa per scacciare i francesi dal suolo italiano. Situazione che fece imbufalire Giulio e segnò con ogni probabilità il destino della città.

UN EPILOGO CATASTROFICO

Alla luce di questi fatti inquietanti, di queste omissioni o leggerezze, non stupisce constatare che il XVI sia stato il secolo peggiore per la città. Se in quello precedente, nonostante le difficoltà, Savona era riuscita a salvaguardare e ampliare i traffici marittimi, acquisendo in tutto il Mediterraneo un ruolo primario nella navigazione e nel commercio, nel Cinquecento parvero cadere gli ultimi freni e Genova pose in atto la sua spietata, drastica soluzione del problema Savona. Braccio armato di questa cinica politica imperialistica fu l’ammiraglio Andrea Doria. A lui va la nostra più sincera … damnatio memoriae!

Nell’anno Domini 1528, assediata per l’ennesima volta dai genovesi da terra e da mare, abbandonata dai francesi, ingannata sulle condizioni della resa che non furono rispettate, il 29 ottobre Savona capitolò. Il Senato di Genova decise la sorte della città, additata con l’appellativo de “la nuova Cartagine”. E Carthago, come tutti sanno, delenda est.

Ogni cosa fu distrutta, le mura, il porto, sorgente di vita, al punto che i viaggiatori non riconoscevano più la città nel cumulo di rovine che si trovavano di fronte.

Disegno che ricostruisce l’antica cattedrale disturtta a Savona durante le guerre con Genova

Alcuni anni dopo, nel 1542, ebbe inizio la demolizione di ciò che ancora restava in piedi, la magnifica cittadella del Priamar. Il palazzo episcopale, coevo della Cattedrale, il palazzo del capitolo, la chiesa e il convento di San Domenico, le chiese di San Giorgio, San Nicolò, Santa Maria, tre ospedali, gli oratori delle confraternite, il convento delle Recluse. La demolizione della Cattedrale del IX-XIII secolo avvenne nel 1595. A tutto questo seguì una terribile crisi economica e la diaspora degli abitanti, mentre si apriva per Genova quello che fu definito dagli spagnoli “el siglo de los genoveses”, il periodo di maggior splendore per la Superba, che affondava le sue radici nell’annientamento della rivale.

Cannone con vista dalla fortezza del Priamar a Savona

Oltre al danno, la beffa. Savona fu costretta a pagare in moneta sonante la distruzione del suo cuore pulsante, delle sue radici, del suo principale sostentamento, il porto. Così come dovette pagare le spese per la costruzione della fortezza del Priamar che fu eretta sulle sue spoglie. Fortezza edificata, si badi bene, per difenderla … Infatti i cannoni, ancora oggi, sono puntati non sul mare, ma sulla città.

E OGGI?

La polvere del tempo si è depositata su questi avvenimenti, rimarginando in parte le vecchie ferite, e adesso che Genova è là, amazzone ferita, con la sua arteria recisa, con il ricordo di quarantatre vittime che pesa su tutti, un sentimento di solidarietà e vicinanza prende il posto degli antichi, mai sopiti rancori nell’animo dei savonesi. Con la consapevolezza che il passato non si dimentica, ma non condiziona – superfluo sottolinearlo – il presente.

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