Presepe dei Frati Cappuccini

SAVONA DEI PRESEPI

… Francesco volle fare memoria di quel Bambino che è nato a Betlemme, e in qualche modo intravedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una mangiatoia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello. (Fra’ Tommaso da Celano, 1185-1260, Vita Prima)

Natività fra San Bernardino da Siena e Sant’Antonio da Padova, Giovanni Mazone 1473-75, presso Pinacoteca Civica-MUSA di Savona

Il Natale del 2020 non lo dimenticheremo facilmente. Dopo un anno difficilissimo, segnato dalla pandemia, che ci ha portato a fare i conti con paure ancestrali, con danni spaventosi alla società e ha cambiato il nostro stile di vita, l’approssimarsi di questa data così importante porta con sé non poche incertezze. Il bisogno di trovare punti fermi cui appigliarsi è forte e spinge a riscoprire i valori veri, belli, che un tempo caratterizzavano il Natale partendo dalla riscoperta delle tradizioni. Savona è ricca di tradizioni, come tutte le città plurimillenarie, e tra tutto ciò che non abbiamo ancora descritto, in questa occasione vogliamo parlare del presepe. Diciamo subito che si tratta di qualcosa di non comune, abbiamo infatti due, tre filoni distinti, uno colto, raffinato, destinato a un ben preciso e privilegiato settore della società, e un altro (e forse più d’uno) popolare, umile, ma non meno ricco di significati del primo.

Un tempo la rappresentazione della Natività era riservata alla Chiesa. Solo nel XVII-XVIII secolo le grandi famiglie nobili iniziarono a desiderare di possedere un presepe e diedero il via a una sorta di gara, commissionando ad artisti di fama la realizzazione delle statue. In Liguria in particolare si sentì la necessità di riprodurre in scala minima lo splendore delle processioni che rendevano piene di pathos e di pura bellezza le celebrazioni cristiane, per portare in casa il fascino, oltre alla devozione, di queste manifestazioni collettive di fede. Non a caso, incaricati della produzione di statue per il presepe privato della upper class del tempo furono gli stessi artisti autori dei gruppi processionali e dei grandi presepi delle cattedrali, il Maragliano, ad esempio. Nacquero così presepi esclusivi, scolpiti nel legno e dipinti con realismo, oppure realizzati come manichini di lusso in grado di assumere pose plastiche di grande suggestione, rivestiti di abiti sontuosi che riproducevano la moda dell’epoca, talvolta realizzati per diletto, con profusione di merletti, dalle stesse, annoiate padrone di casa. Sovente i materiali erano anche più preziosi, oro, argento, avorio, alabastro, tartaruga, un vero sfoggio di ricchezza, forse un inopportuno schiaffo alla miseria e al messaggio evangelico, che ebbe però il merito di favorire la nascita di botteghe artigianali di alto livello.

Nel frattempo, complice la passione per la porcellana cinese che invase la società settecentesca, i tempi si rivelarono propizi all’avvento del presepe realizzato in questo pregiato materiale di cui gli occidentali avevano impiegato due secoli per decodificare i segreti, maestro in quest’arte il savonese Giacomo Boselli, grande ceramista accreditato presso le corti europee . Nacquero così statuine finissime, eteree, lontane dal realismo di Anton Maria Maragliano e dei suoi epigoni, usate in alcuni casi sia per la tavola che per la sacra rappresentazione. In pieno trionfo dell’Arcadia la paesanella, un po’ troppo elegante, si divideva senza difficoltà tra la mensa del gran signore – dove sosteneva, magari, il ruolo di saliera – e il corteo di pastori in cammino verso la capanna del piccolo Gesù.

Occorreva aspettare l’Ottocento perché il presepe fosse finalmente alla portata di tutti o quasi. Il giorno di Santa Lucia (ne abbiamo parlato in un nostro articolo del 2017 “Santa Lucia , una siracusana a Savona”) il tredici dicembre, le bancarelle della nostra Fiera presero a riempirsi di statuine in terracotta, graziose, ben dipinte, economicamente accessibili. Ancora artisti di calibro, come il nostro Antonio Brilla, scultore, autore tra l’altro delle statue del timpano neoclassico del Teatro Gabriello Chiabrera, s’incaricarono di realizzare gli stampi (prendendo spunto da quelli lasciati in eredità dal Boselli alla fornace Ricci di Savona) e di creare una moltitudine di varianti su una base di pochi modelli codificati. 

Scusate, lo so che non c’entro niente, ma ci tenevo comunque a partecipare…

Il presepe popolare si avviava a rappresentare uno dei primi esperimenti di fenomeno di massa, forse un qualcosa che non sarebbe dispiaciuto a Andy Warhol. Sempre nel segno di una pop art antesignana, nuove spinte innovative emergevano. Ad Albissola le donne dei vasai, per incrementare le magre risorse, iniziarono a realizzare statuine utilizzando gli avanzi di produzione di argilla, cotte nei forni degli stovigliai, per gentile concessione degli stessi e “per l’anima dei nostri morti”, come recitava una commovente formula di ringraziamento. Una produzione tutt’altro che pregiata. Personaggi rozzi, mal dipinti, ripetitivi, ovini bionici con quattro chiodi al posto delle zampe, in una parola, brutti, talmente brutti che qualcuno – forse gli stessi stovigliai – cominciò impietosamente a chiamarli macacchi. Eppure questi macacchi (da allora si chiamano così) trovarono una loro nicchia di mercato tra gli acquirenti meno abbienti, o forse anticonvenzionali, della Fiera di Santa Lucia e la conservarono fino all’avvento delle ben più scadenti statuine in plastica prodotte in serie, senza grazia né sentimento, di provenienza “furesta”. Oggi e ormai da qualche anno è in atto il recupero culturale dei pastori Gelindo e Gelinda, del pifferaio Maffeo e dei freddolosi Zeouin, che stanno diventando oggetti di culto per un collezionismo attento che crede nella riscoperta e valorizzazione di quest’arte povera, che più povera non potrebbe essere. Curioso constatare le radici storiche di questi personaggi, infatti il Gelindo era in origine una lauda medievale, tutt’ora rappresentata in alcune regioni, che accomunava la cultura popolare di buona parte del centro/nord Italia, destando l’interesse di intellettuali quali Umberto Eco, Antonio Gramsci, Costantino Nigra

Il presepe, dunque, come fenomeno di costume che investe l’intera società e ne modella in parte i comportamenti. In alcune case borghesi di Savona, fino agli inizi del Novecento, si riservava un’intera stanza alla rappresentazione della Natività che rimaneva allestita per tutto l’anno. E ancora, una delle nostre usanze più tenere era quella di far recitare, tra la commozione degli adulti, le filastrocche della tradizione ai più piccoli, composti e seri accanto al presepe casalingo. Qualcuno le ricorda, tramite i racconti degli avi, queste rime?

Ӧ Bambin cӧscì piccin

cӧ a seu testa a rissӧlin

cӧ a seu caza bella netta

che ghe stava a Lizabetta

Lizabetta a fiava

a Madonna a recamava

San Giuseppe ӧ fa ӧ bancà

e ӧ Bambin ӧ fa a nannà

Gli adulti, invece, accanto al presepe cantavano le carole in vernacolo e in fin dei conti, tolta la scorpacciata di minestra di maccheroni, cardi e trippa, e, nei tempi di abbondanza, di stufato de pegua (pecora) ӧ de bibin (tacchino) la festa era tutta qui.

Il rispetto della tradizione non esclude l’evolversi dell’arte. Nella seconda decade del secolo scorso lo scultore Arturo Martini (savonese d’adozione) e il ceramista Tullio Mazzotti, riprendono il tema del presepe adattandolo agli stilemi del Movimento Futurista che trova un ambiente fecondo in Albisola, dove in quel periodo soggiorna lo stesso Marinetti. Quarant’anni dopo un altro artista albisolese, Eliseo Salino, realizza lo splendido presepe permanente del Santuario del Bambino di Praga ad Arenzano. 

Presepe di Eliseo Salino

Oggi questo patrimonio culturale, dai forti caratteri sociologici, non è andato perduto. Nel periodo natalizio è stupefacente la quantità di presepi che si possono ammirare nel nostro territorio, purtroppo falcidiati, quest’anno, dalle restrizioni imposte dall’emergenza pandemica. Si sperimentano soluzioni alternative, il presepe in vetrina, il presepe lungo percorsi all’aria aperta, il presepe contingentato, il presepe via internet. Se questo consentirà di salvaguardare il famoso e forse abusato spirito del Natale è presto per dirlo. L’appuntamento con i grandi presepi della tradizione è comunque solo rimandato. E poi chiese, oratori, musei, conventi, palazzi storici, nonché piccoli borghi dove il tempo si è fermato, o forse no, ma sembra che sia così, faranno ancora a gara per stupire ed emozionare i visitatori con le loro suggestive rappresentazioni. Buon Natale a tutti!

Presepe meccanico di Luceto
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