STREGHE ! Savona e le sue fattucchiere

Savona e provincia, terra di streghe. Tornano, in questo periodo dell’anno, stranamente giovani e belle, con le  ragnatele disegnate sulle guance, il trucco pesante dai toni violacei, gli abiti sfrangiati, i cappelli con la cupola appuntita.

Ma le vere streghe sono altre e questi luoghi in passato ne hanno avuto numerose.

Dalle misteriose streghe-bambine di Albenga –  così definite dagli archeologi che alcuni anni fa hanno trovato i loro scheletri durante una campagna di scavo nell’area archeologica di San Calocero – alle due streghe di Cairo Montenotte accusate di “seminare la polvere di contagione” durante una terribile epidemia di peste nel XVII secolo, alle streghe incarcerate a Cagna, frazione di Piana Crixia nell’entroterra savonese,  e sottoposte a tortura, nonostante il parere negativo espresso in tal senso dal vescovo di Savona, alla donna accusata di stregoneria dal marito, bruciata viva nella piazza San Michele di Albenga nel XIV secolo. E non sono le sole.

Nel primo caso si tratta di inumazioni particolari, solitamente riservate a individui rigettati dalla comunità di appartenenza, che hanno portato a formulare l’ipotesi di trovarsi di fronte a sepolture rituali finalizzate alla protezione della comunità stessa dal “diverso”. L’importante ritrovamento, venuto alla luce nel 2015, è tuttora oggetto di studio da parte degli esperti.

Delle due streghe di Cairo Montenotte (solamente Cairo all’epoca) conosciamo i nomi, Lucia e Maria Largherio. Le due confessano sotto tortura di essere state incaricate dal diavolo di spargere il contagio della peste, al termine di un sabba nei boschi della valle.

Si ravvedono  – così raccontano – quando sono fermate dalla presenza, sul loro mortifero cammino verso Savona, del Santuario di Nostra Signora di Misericordia. La Madonna non vuole! E anche il demonio deve farsene una ragione.

Oggi c’è chi vede in questo episodio una precoce operazione di marketing per “lanciare” quale baluardo della salute pubblica il Santuario, all’epoca sì e no centenario e perciò ancora in fase di affermazione.

Credit: Greta D’Alessandro

Tragica la sorte delle streghe incarcerate a Cagna. Numerose, pare in numero di quattordici, tra loro anche qualche individuo di sesso maschile, imprigionato per stretta parentela con le poverette, accusate pure questa volta di causare la pestilenza, nonché di seccare i raccolti e di far morire d’inedia i neonati. Il desiderio di trovare colpevoli cui addebitare tutti i drammi di una vita difficilissima, doveva essere insopprimibile in una popolazione ridotta allo stremo dalle calamità. Le streghe subiscono torture e privazioni che causano aborti e decessi. I superstiti riescono a evadere, tornano a Lodisio, paese di provenienza, per scoprire che delle loro poche proprietà altri si sono impossessati, forse gli stessi  accusatori.

Della strega bruciata ad Albenga non si sa altro se non che il suo accusatore era il marito. Probabilmente un furbacchione che aveva trovato il modo di liberarsi della moglie.

Per restare in ambito coniugale, quasi comica è la vicenda di Zanina, strega di Mioglia, sempre nell’entroterra savonese, che, consigliata in tal senso da una conoscente più strega di lei, cuoce “due rondinini” e li nasconde sotto i lini dell’altare, convinta che l’insolito arrosto, per aver ricevuto il beneficio della messa, possa restituirle l’amore del convivente che non vuole più saperne di lei. La presunta strega rischia grosso in un’epoca poco incline agli sconti di pena, ma per sua fortuna viene giudicata da persone sensate (in questo caso la giurisdizione ecclesiastica era, al tempo, quella di Acqui) che non vedono nel fatto niente più di una dimostrazione di stupidità. La donna viene condannata a restare sul sagrato, durante la celebrazione della messa, in ginocchio, con una candela in mano e una corda al collo, esposta al pubblico ludibrio. A colei che l’aveva così ben consigliata, Caterina, una bella sanzione economica. Anche all’epoca, come ai giorni nostri, il posto più dolorabile era il portafoglio.

Una voce autorevole, quella dello storico Nello Cerisola, nel suo libro Storia di Savona, Editrice Liguria, riporta queste significative notizie: Nei libri di amministrazione, sotto la data del luglio 1454, è scritto che “furono bruciate vive tre donne eretiche. Altra donna eretica fu bruciata, che si era da sé impiccata”. Nell’ottobre 1460 “furono fatte due catene in ferro per sospendere le malefiche ed eretiche, che si bruciavano vive, ad un pilastro nel prato di San Tomaso” in Valloria. (Fuori porta, nella zona est di Savona). Nello stesso anno “furono impiccate e poi bruciate due donne eretiche e streghe”. Nell’ottobre 1466 “furono bruciate quattro fattucchiere”.

Delle streghe è rimasta traccia anche nei dialetti, che variano da paese a paese, e i nomi con i quali erano indicate, MASCA, STRIA, BASURA (famosa la Grotta della Basura nel Finalese) sono tuttora di uso comune.

A Savona, grazie alla Bolla di Sisto IV che concedeva autonomia di giudizio alla Curia locale nelle questioni legate alla stregoneria e all’eresia, sono i magistrati vescovili “in situ” a occuparsi della spinosa materia. Il clou dei processi per stregoneria avviene nei secoli XVI e XVII. Presso la Biblioteca Civica e soprattutto presso l’Archivio Storico del Museo Diocesano si conservano gli atti processuali, i verbali, le deposizioni. Un triste mondo fatto di superstizione e crudeltà emerge dalle carte, che deve peraltro essere contestualizzato in un’epoca di analfabetismo, miseria e pestilenze ricorrenti. Va comunque sottolineato che detti magistrati dimostrarono una clemenza e una serenità di giudizio di cui altri luoghi non beneficiarono. Infatti risultano numerosi i casi di streghe giudicate incolpevoli e restituite alla loro vita dopo aver passato, come suol dirsi, un brutto quarto d’ora.

I casi di Gentile Pessana, di Segno, frazione di Vado Ligure, di Madina e Pellegrina Conte, anziane sorelle di Bergeggi, di Benedetta Carzolia di Perti, frazione di Finale, di Caterina da Orta, detta Mallarina, di Finale, ebbero tutti un lieto fine. Diverso il caso di Caterina de Bono di Quiliano, che non giunse nemmeno al processo, fermandosi alla fase pre-istruttoria, che accertò probabilmente l’infermità mentale della giovane, autoaccusatasi di stregoneria.  Una donna facilmente plagiabile, “aiutata” nella difficile situazione nella quale si era cacciata da sé (o no?)  da un converso del Convento dei Cappuccini. Circostanza che lascia spazio a qualche dubbio, considerando che non manca chi sostiene che tra le donne del paese che frequentavano il convento e i suoi abitanti i commerci non fossero sempre leciti. Una volta diventate scomode, o venute a noia, sarebbe stato fin troppo facile per i religiosi avanzare accuse di stregoneria per liberarsi di loro.

…. “Va bene” concluse Bernardo “Ormai il fatto mi pare chiaro. Un monaco sedotto, una strega, e qualche rito che per fortuna non ha avuto luogo ….”      ….  Ancora una volta fui tentato di seguirla, ancora una volta Guglielmo, scurissimo in volto, mi trattenne. “Stai fermo, sciocco,” disse, “la ragazza è perduta, è carne bruciata.”  Umberto Eco, Il nome della rosa.

Situazioni tutt’altro che rare. Per cui, benvenute le odierne streghe modaiole e i loro estimatori!

Felice Halloween a tutti!

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